I terribili fatti di cronaca di questi giorni a cavallo di ferragosto con il suicidio di due donne al carcere delle Vallette di Torino e il tentato suicidio al carcere di Potenza, mi riporta indietro ad una settimana fa quando nell’ambito di Alcart Festival, ad Alcamo abbiamo affrontato in piazza il delicatissimo tema della salute mentale nelle carceri. Un tema che mi sta molto a cuore da medico, oltre che da europarlamentare e che mi sono trovato ad affrontare come vicepresidente della Commissione LIBE al parlamento Europeo. Proprio in Commissione LIBE abbiamo dibattuto su quanto sia difficile comparare la situazione carceraria dei Paesi Membri e segnalato all’Unione l’esigenza di definire norme minime comuni a garanzia del rispetto dei diritti umani. Provare a tracciare un quadro comparatistico della situazione a livello europeo, può permettere agli Stati Membri di garantire condizioni minime di trattamento e di determinare le strategie migliori da perseguire, condividendo le migliori buone prassi. Condivido qui alcuni dei punti affrontati all’interno del convegno e di cui torneremo a discutere insieme al capodelegazione Pd Brando Benifei e al Gruppo dei Socialisti e Democratici forti anche dei contributi che sono arrivati da quel dibattito da Simone Santorso, professore presso l’Università del Sussex, autore libro “Farsi la galera” e membro dell’associazione Antigone; Sabrina Salvo, dirigente medico UOSD Medicina Penitenziaria ASP Trapani – CC Trapani; Vincenzo Filippi, psicologo psicoterapeuta UOSD Medicina Penitenziaria dell’ASP Trapani – CC Trapani.
Vale la pena innanzitutto ricordare che: “Il bene primario della salute trova riconoscimento nell’art. 32 della Costituzione, che lo tutela come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività. Il diritto alla salute non tollera, infatti, alcuna compressione in ragione dello stato di privazione della libertà personale e, anzi, in tal caso, deve essere riconosciuto con maggiore forza, in considerazione dell’alto rischio che la condizione detentiva comporta per la salute.” Così come l’art. 35 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che “riconosce ad ogni persona il diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e di ottenere cure mediche alle condizioni stabilite dalle legislazioni e prassi nazionali”.
Tuttavia, allo stato attuale, se ingrandiamo la lente sul trattamento penitenziario dei detenuti, tali principi non sembrano essere pienamente rispettati.
Difatti, si riscontrano criticità in molteplici aspetti legati alle condizioni della popolazione carceraria, solo per citare alcuni esempi: l’accesso alle cure mediche, la dimensione dello spazio detentivo, oppure, come anche fatto notare in diversi report di ONG, le violenze subite dai detenuti, di cui si stima che i casi siano molto superiori rispetto a quelli riportati. A tal proposito, ricordo con grande piacere la partecipazione dell’Associazione Antigone nel giugno del 2021 ad una seduta della Commissione LIBE durante la quale fu presentato il loro report sulle condizioni carcerarie disumane prima e durante la pandemia, in cui si delineavano delle prescrizioni, forse del tutto ignorate finora, per prevenire che violenze e abusi avvengano in futuro nelle carceri.
L’aggiornamento del rapporto Antigone presentato a maggio 2023 e relativo al 2022 non segna evidenze in questo senso. Anzi: in un anno il tasso effettivo di affollamento delle carceri italiane è passato dal 112% al 119%. Per ben 4.514 volte nel solo 2022 (Fonte: Repubblica su dati Rapporto Antigone) l’Italia è stata condannata da parte dei suoi stessi tribunali a causa delle condizioni di detenzione inumane e degradanti, tendenzialmente per assenza di spazio vitale. Personalmente il titolo del rapporto scelto dall’Associazione Antigone mi ha dato molto da riflettere: “È vietata la tortura”. Badate per me questo è stato un campanello d’allarme, perché di torture nelle carceri ho parlato spesso e ancora più spesso ho sentito i racconti: ma sono le carceri della Libia, quelle in cui finiscono tanti migranti in viaggio verso la nostra Europa.
L’accostamento che può sembrare azzardato deve indurci a riflettere e ad affrettare la comparazione tra i sistemi carcerari europei per trovare strade nuove di espiazione della pena e reinserimento della società.
C’è una via di mezzo tra i sistemi carcerari di bassa sicurezza della Norvegia, considerati l’eccellenza del sistema carcerario europeo con la minor recidiva dei detenuti e quelli italiani, per sovraffollamento secondi solo a Cipro e Romania?
Ecco a questo dobbiamo provare a rispondere sapendo che il Covid ha creato un punto di non ritorno, tra il prima e il dopo sul fronte della salute mentale di tutti, anche di chi sconta una pena.
I numeri parlano chiaro: secondo il nuovo report pubblicato dall’Organizzazione mondiale della sanità, un terzo dei detenuti in Europa soffre di disturbi mentali. Il rapporto tiene conto di diversi fattori che gravano sulla salute mentale, come il sovraffollamento e la mancanza di servizi.
La continuità delle cure richiede maggiori investimenti ma solo la metà degli Stati membri garantisce l’accesso ai servizi sanitari di comunità alle persone in uscita dal carcere. A segnalare il sovraffollamento è uno Stato membro su cinque. In Italia l’Associazione Antigone ha registrato il 9,2 per cento di diagnosi psichiatriche gravi ogni 100 detenuti ed un’ampia percentuale di detenuti che fa uso di stabilizzanti dell’umore, antipsicotici, antidepressivi o addirittura sedativi o ipnotici. A fronte di ridotte ore di servizio degli psichiatri. Cose di cui potranno dirci di più e meglio il professor Santoro e le dottoresse Salvo e Filippi che si confrontano con il problema ogni giorno.
Da medico e da europarlamentare mi limito a rilevare che si tratta di numeri che non trovano minimamente corrispettivo nella popolazione libera così come il numero di suicidi e che indicano che la strada verso “carceri psichiatrizzate” sembra sempre più veloce.
Il Parlamento europeo ha commissionato studi e ricerche empiriche che evidenziano come le norme internazionali ed europee che disciplinano aspetti cruciali delle condizioni di detenzione, non sono attuate efficacemente. La competenza in merito alle questioni di detenzione spetta agli Stati membri, ma visti gli scarsi risultati conseguiti, e date le norme sulle condizioni carcerarie stabilite dal Consiglio d’Europa e dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, è quanto mai auspicabile un intervento dell’UE che garantisca una maggiore conformità a tali norme. Uno strumento legislativo dell’UE che, come dicevo prima, sia capace di introdurre norme e standard minimi comuni.
Altro tema connesso alla salute psicologica è quello della radicalizzazione. Negli ultimi anni, soprattutto in Belgio e in Francia dove all’interno delle carceri numerosi detenuti hanno aderito a gruppi terroristici e all’estremismo islamico, si è optato per la creazione di ali detentive o strutture carcerarie separate ma questo se da una parte va a tutela dei soggetti psicologicamente più fragili reclusi nelle carceri per altri reati, facili da condizionare; dall’altro apre una preoccupazione riguardo al rispetto dei diritti fondamentali inerenti alle condizioni di detenzione specifiche, generalmente più restrittive, per i detenuti accusati di terrorismo.
Infine, permettetemi di soffermarmi brevemente su un altro campanello d’allarme, quello dei suicidi: l’Italia, purtroppo, è tra i Paesi europei con il più alto tasso di suicidi nella popolazione detenuta. Il 2022 è stato l’anno più “nero” degli ultimi 30 anni: un suicidio ogni cinque giorni, 84 detenuti si sono tolti la vita dietro le sbarre. Non a caso il Consiglio d’Europa l’anno scorso ha richiamato l’Italia, in seguito a due condanne da parte della Corte europea dei diritti umani, per “esortare le autorità italiane a migliorare le misure preposte a prevenire i suicidi in carcere”, e “proseguire gli sforzi per assicurare una capacità sufficiente delle Rems”, le residenze alternative per i detenuti che soffrono di disturbi psichici e che restano un altro grande tema da affrontare.
Alla luce di questi dati e delle considerazioni fatte, forse bisognerebbe soffermarsi a riflettere sul come la finalità e la funzione dell’istituzione carceraria non possono essere soltanto quella dell’estinzione della pena. Non possiamo considerare il carcere come “discarica sociale”. Serve invece considerare pene alternative alla detenzioneanche per contrastare il problema del sovraffollamento delle carceri.
È suggestivo notare come proprio durante la pandemia da Covid-19, alcuni Stati membri hanno fatto maggiore ricorso alle alternative alla detenzione e tentato nuovi metodi per aumentare il flusso di persone in uscita dal carcere.
Dunque da una parte occorre lavorare sul sovraffollamento, dall’altra è necessario garantire ai detenuti il diritto alla salute migliorando l’assistenza sanitaria all’interno degli istituiti penitenziari, così come sarebbero auspicabili interventi di edilizia volti alla costruzione di nuove strutture o alla ristrutturazione di quelle esistenti.
A prescindere dall’ampia varietà di culture e pratiche giuridiche che coesistono nell’Unione, garantire ai detenuti il diritto alla salute deve essere una priorità riconosciuta senza riserve e auspicabilmente affrontata a livello europeo.