Caro Presidente,
ho trascorso, anche per via del mio lavoro di medico, molti giorni, mesi ed anni su quel molo Favaloro di Lampedusa dove, ancora in queste ore, stanno ammassati centinaia di migranti salvati dalle acque, bellissime ma infide, del Mediterraneo. Comprenderà, dunque, se Le scrivo con parole intrise di amarezza e anche di rabbia ma sono certo che un’interlocuzione con il presidente del Consiglio, in un momento come questo, sia un dovere. E sia proprio un dovere parlare con estrema franchezza. Me lo impone il mio trascorso professionale e di volontario a Lampedusa, me lo suggerisce, adesso, la mia veste di parlamentare europeo.
La nuova situazione di emergenza, e altre di certo si verificheranno, è sotto gli occhi di tutti. Per l’Italia non è una novità. Certamente, chi non ne vorrebbe fare a meno? Come, al tempo stesso, dovremmo auspicare che si possa porre fine ai naufragi e alla catena interminabile e insopportabile di morti in mare. È anche scontato che un grande Paese come il nostro, membro del G7 e, in quest’anno, presidente del G-20, debba dimostrare di avere capacità e senso di umanità nell’affrontare momenti, pur difficili e complessi, di fronte ad un fenomeno epocale.
Caro Presidente, non so se ci sia già una “cabina di regia” per questa emergenza. Mi è chiaro, però, che l’Italia debba agire su due fronti. Quello interno, dal punto di vista del soccorso e dell’accoglienza, quello esterno del rapporto con le istituzioni dell’Ue e gli altri Stati membri.
Sul piano interno dobbiamo spiegare ai cittadini italiani che le persone che si trovano pericolosamente in mare devono essere soccorse perché ce lo impongono i principi di umanità e le leggi internazionali ma, siccome l’Italia è un grande paese, deve creare, sia pure temporaneamente, le condizioni perché chi arriva debba trovare un luogo decente dove sistemarsi, dormire, nutrirsi in attesa di conoscere la prossima destinazione. I decisori politici devono, a mio avviso, fare un discorso di verità ai cittadini e spiegare che questo è il compito di uno Stato democratico, e non altro. Penso che il sistema italiano (ministeri, protezione civile, associazioni non governative, Regioni e Comuni) possa sottoscrivere un Patto incentrato sull’accoglienza e sull’assistenza, tanto per cominciare. Badando a non lasciare per strada, per città e campagne, per borghi e stazioni, portoni e portici, centinaia di persone senza identità, in balia di nessuno, spesso sfruttate da caporali senza scrupoli o vessate e punite da violenti di ogni risma. È giunto il momento di affrontare il tema con buon senso e capacità organizzative che non ci mancano.
Sul piano esterno, dobbiamo essere ancora più chiari e netti. Noi veniamo da un percorso vittorioso con il Next Generation Eu. Non è stato semplice ma il cambio di passo dell’Unione, che ha persino rotto il tabù dell’indebitamento della Commissione sui mercati, è stato portentoso. E tutti noi ci auguriamo di poter presto iniziare a spendere bene queste risorse per il rilancio del Paese. Mi domando perché non si possa seguire, più o meno, la stessa strada nel campo delle politiche migratorie. Sono consapevole, e lo constato ogni giorno al Parlamento europeo, delle difficoltà che permangono nella ricerca di unità degli Stati Membri per cambiare le regole del Regolamento di Dublino sui paesi di primo ingresso. Lo stesso “Patto” proposto dalla Commissione non risolve la questione, cui l’Italia tiene tanto, della ripartizione obbligatoria delle persone migranti in senso ai 27 Stati dell’Unione.
Il confronto politico non sta portando a nessuna soluzione. Qui ci vuole uno scatto di reni. Bisogna smuovere questa montagna. Apprendo che si sta preparando un dossier destinato al prossimo Consiglio europeo. Bene. È necessario che il governo italiano, in quella sede, avanzi una proposta strutturata che si basi su un governo dell’immigrazione fondato su accordi con i paesi rivieraschi e per ingressi regolari. Ma bisogna fare presto, metterci tutto l’impegno possibile, trovare nel confronto delle soluzioni intelligenti e rispettose della dignità delle persone. Il fenomeno non finirà domani, lo sappiamo. Dunque la politica migratoria deve balzare ai primo posto dell’agenda dell’Ue e del nostro Paese. Mi auguro che ciò avvenga al più presto, altrimenti si lascerà il campo a chi alimenta sentimenti di odio o addirittura soluzioni di forza che sono sinonimo di morte.