Oggi, come ogni anno il 9 maggio, celebriamo la Festa dell’Europa per ricordare e rafforzare la pace e l’unità in Europa. La data segna l’anniversario della storica Dichiarazione in cui l’allora Ministro degli Esteri francese, Robert Schuman, espose l’idea di una nuova forma di collaborazione politica in Europa, che avrebbe reso impensabile la guerra tra le nazioni europee. La proposta di Schuman è considerata l’atto di nascita di quella che oggi è l’Unione europea. Oggi vediamo tutti, purtroppo, che questa pace è a forte rischio, per i venti di guerra che soffiano ai nostri confini.
Migliaia di scuole, di piazze, di luooghi istituzionali in tutta Europa celebrano questa data e questa memoria. Io lo faccio da Lucca insieme a centinaia di studenti. Un’occasione per confrontarmi, ma soprattutto per ascoltare i giovani che si stanno preparando ad affrontare le prime importanti scelte della vita. Sono sempre particolarmente lieto di ascoltare quello che hanno da dire, vedere i loro elaborati in cui, come quest’anno, prendendo spunto dalle conclusioni della Conferenza sul futuro dell’Europa, parlano di diritto europeo, di ambiente, di parità di genere, di diritti umani, e di tante altre cose.
La domanda su cosa vuol dire oggi essere cittadini europei è quanto mai opportuna, e chiede a tutti di riflettere profondamente sul significato e sull’essenza stessa dell’Europa, soprattutto dal punto di vista istituzionale.
Il sogno di Altiero Spinelli e Jean Monnet, che già negli anni “40 del secolo scorso, in piena bufera della guerra, si chiedevano come fosse possibile interrompere per sempre, almeno sul territorio europeo, la tragedia della distruzione e della morte che accompagnano ogni conflitto, quel sogno che fu costruito attraverso atti politici di quelli che sono considerati i tre grandi architetti: Robert Schuman, Konrad Adenaur e Alcide De Gasperi, è oggi a rischio.
Per 75 anni, dal 1945 ad oggi, l’Europa prima dei 6, poi dei 13 ed oggi dei 27 Paesi, ha fatto sì che questo continente non vivesse più conflitti, guerre, morte e distruzione. È stato il più lungo periodo di pace che il continente ha vissuto, e basterebbe questo per giustificare l’esistenza e l’efficacia della Unione Europea. Ci sono stati, in questi anni, la guerra nella ex-Jugoslavia ed oggi l’aggressione della Russia all’Ucraina, ma seppur vicine, anzi vicinissime a noi sono state fuori dai confini dell’EUROPA intesa come Istituzione. E i Paesi coinvolti hanno chiesto di far parte dell’Unione, proprio per essere salvaguardati e protetti. Oggi abbiamo 5 procedure di adesione già in atto: Serbia, Albania, Montenegro, Macedonia e Turchia, oltre a 3 richieste di Bosnia, Kosovo e appunto, Ucraina.
Ma dopo tutti questi anni la storia è andata avanti, i contesti si sono modificati e nuovi problemi si sono presentati: per la prima volta un Paese ha chiesto e ottenuto di abbandonare l’Unione (la Brexit, l’uscita della Gran Bretagna del 31 gennaio 2020); la globalizzazione delle informazioni e delle risorse ha accelerato ogni processo e sta cambiando il mondo; la fine della contrapposizione bipolare tra est e ovest ha creato un nuovo multipolarismo modificando sensibilmente i contesti geopolitici, con l’affacciarsi sulla scena mondiale di nuove “potenze” e nuovi attori (India, Cina, Brasile, Indonesia…)
Per rispondere a queste nuove sfide, a queste nuove condizioni, è necessario oggi interrogarsi, e farlo a fondo, sulle ragioni dello stare insieme, ma soprattutto sulle regole, sulla efficacia e sulla capacità dell’Europa di rispondere a queste nuove sfide.
L’Unione Europea è un gigante economico, il più importante mercato del mondo, con 446 milioni di cittadini.
L’Europa vanta i migliori livelli di protezione sociale del mondo e si posiziona ai primi posti in termini di qualità della vita e del benessere, è uno spazio di libertà, diritti, sicurezza e giustizia, garantiti dai Trattati e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
Ma tutto questo oggi non basta: oggi è necessario diventare un grande soggetto oltre che economico anche politico. Un soggetto che parli con una voce sola, che abbia una politica estera sola, che abbia una politica di sicurezza e difesa comune.
In sostanza si tratta di completare due cose: il processo di allargamento e il processo di integrazione. Ma per affrontare ogni sfida servono due elementi fondamentali: la volontà, ma soprattutto la solidarietà.
Jean Monnet, ma anche Romano Prodi, che fu il padre e l’attuatore del processo di allargamento, solevano dire che l’Europa sarebbe cresciuta per gradi, trovando la sua forza soprattutto nei momenti di crisi.
Ed in parte ciò è sicuramente vero: basta guardare come abbiamo risposto alla più grande crisi che ci ha colpito recentemente, quella del Covid: abbiamo approvato il Next Generation EU, il primo grande progetto di ricostruzione europea, finanziato con il contributo di tutti, per venire incontro alle esigenze di ciascuno. La stessa prontezza e determinazione, lo stesso spirito di solidarietà, ci devono guidare nelle sfide che abbiamo davanti.
Abbiamo cominciato a ragionare in termini di bilancio comune, di tassazione europea, di Euro bond, di prestiti garantiti dall’Unione, tutte cose respinte da alcuni Paese sino a pochi anni fa.
Perché ormai è chiaro a tutti che le Istituzioni europee e il loro metodo di funzionamento, che i nostri predecessori hanno costruito, che negli scorsi decenni hanno servito bene i cittadini europei, sono ormai inadeguati per la realtà che ci si manifesta oggi davanti.
Faccio mie, condividendole pienamente le parole del nostro Premier Mario Draghi durante la sua visita a Strasburgo martedì scorso: “Abbiamo bisogno di un federalismo pragmatico, che abbracci tutti gli ambiti colpiti dalle trasformazioni in corso: dall’economia, all’energia, alla sicurezza. Se ciò richiede l’inizio di un percorso che porterà alla revisione dei Trattati, lo si abbracci con coraggio e con fiducia”.
Revisione dei Trattati vuol dire sostanzialmente abolizione di quella sorta di diritto di veto che di fatto è la necessita dell’unanimità dei voti per ogni decisone nel Consiglio. Questo consente a piccoli o grandi stati di bloccare le decisioni importanti: gli interessi dei pochi prevalgono sugli interessi di tutti. Bisogna introdurre una serie di modifiche che consentano per esempio la decisione a maggioranza, anche qualificata, su alcune materie.
Il nostro Paese, ma anche ciascuno di noi nel suo piccolo, deve essere prima linea per disegnare una nuova Europa, per affrontare l’emergenza economica e sociale, per garantire sicurezza. Abbiamo reso l’Ue uno spazio non solo economico, ma di difesa dei diritti e della dignità dell’uomo. È un’eredità che non dobbiamo dissipare. Ora è il momento di portare avanti questo percorso. Oggi 9 maggio si conclude la Conferenza sul Futuro dell’Europa e la Dichiarazione finale ci chiede di essere molto ambiziosi. In un quadro geopolitico divenuto improvvisamente molto più pericoloso e incerto, dobbiamo affrontare l’emergenza economica e sociale e ambientale, e garantire la sicurezza dei nostri cittadini.
In questa Conferenza si sono per la prima volta sentiti direttamente i cittadini, che hanno avuto modo di esprimere la loro opinione e di interloquire con gli attori e con coloro che stanno cercando di immaginare il nostro futuro.
Ovviamente senza dimenticare l’importante contributo che danno le due istituzioni consultive della UE: il Comitato delle Regioni, che il Presidente Menesini conosce benissimo e in cui è protagonista, e il Comitato economico e sociale europeo, la voce della società civile organizzata.
Questi due comitati, rappresentando le Autonomie Locali, i sindacati, i datori di lavoro, gli agricoltori, e i consumatori danno pareri sulle nuove leggi e le politiche dell’UE, promuovendo la partecipazione della società civile alle questioni europee.
Due ultime riflessioni sulla guerra e sulla migrazione. Sulla guerra tutti siamo stati chiari e netti: non esiste nessuna equivalenza tra chi invade e chi resiste. In una guerra di aggressione non può esistere alcuna equivalenza tra chi invade e chi resiste, perché l’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia ha rimesso in discussione la più grande conquista dell’Unione Europea: la pace nel nostro continente. Ora quindi bisogna agire convintamente per una soluzione diplomatica.
Dalla mia posizione al Parlamento Europeo ho chiesto, nelle scorse settimane, l’apertura di una Conferenza sulla pace, e l’apertura di un negoziato e di trattative serie. Come peraltro ha fatto, con migliore autorevolezza, Papa Francesco, un vero gigante dei nostri tempi.
E mi hanno inorgoglito, ovviamente, le parole di Mario Draghi che a Strasburgo martedì scorso ha affermato che “L’Italia, come Paese fondatore dell’Unione europea, come Paese che crede profondamente nella pace, è pronta a impegnarsi in prima linea per raggiungere una soluzione diplomatica”.
Rispetto alla questione migratoria che mi sta particolarmente a cuore: ci troviamo da anni di fronte a una narrazione pericolosa e falsa, che descrive il fenomeno migratorio come pericoloso e dannoso. In realtà, si tratta di un fenomeno vecchio come il mondo, che dobbiamo affrontare come una opportunità. La solidarietà mostrata verso i rifugiati ucraini, che è stata eccezionale da parte di tutti, deve spingerci verso una gestione davvero europea e davvero comune anche dei migranti che arrivano da altri contesti di guerra e sfruttamento, come le poche miglisaia che ancora stazionano al confine tra Polonia e Bielorussia.
Più in generale, è necessario definire un meccanismo europeo efficace di gestione dei flussi migratori, che superi la logica del Regolamento di Dublino, come sto impegnandomi a fare da anni al Parlamento.